Sicurezza sul lavoro e tutela del patrimonio. Un esempio della relazione tra sicurezza e business management.
Premessa
In un precedente articolo [dal titolo “Sicurezza sul lavoro nelle microimprese. Ecco perché (quasi sempre) non funziona”] chi scrive ha affermato che “Gestire la sicurezza sul lavoro non riguarda solo la sicurezza sul lavoro in senso stretto”, facendo riferimento alle molte competenze e skills (hard e soft) che un datore di lavoro dovrebbe possedere direttamente (egli stesso), internamente (tramite dipendenti dell’azienda) o esternamente (attraverso i propri consulenti), per potervi riuscire con successo.
Al netto del know-how tecnico e ingegneristico legato al contenuto tal quale delle prescrizioni di adeguamento e miglioramento conseguenti la valutazione dei rischi, molte altre competenze di carattere finanziario, gestionale, comunicativo e relazionale sono indispensabili per far fronte alla profonda trasformazione aziendale che far fronte a tali prescrizioni richiede.
Si aggiunga inoltre – nella maggior parte dei casi relativi alle microimprese – che il processo di adeguamento determina lo stanziamento di ingenti investimenti (si pensi alla messa a norma di impianti, macchinari, attrezzature e ambienti di lavoro frequentemente obsoleti) e quindi deve essere accompagnato da solide azioni commerciali e di marketing, atte a produrre flussi di cassa che possano sorreggere ogni intervento richiesto.
Ecco quindi che si crea un legame biunivoco tra sicurezza sul lavoro e gestione di impresa a tutto tondo, anche nelle sue aree di pertinenza più verticali. Legame che, nel momento in cui viene razionalizzato dai datori di lavoro delle microimprese, può portare ad una crescita ed un consolidamento dell’azienda nel suo insieme e, come effetto, un miglioramento della sicurezza sul lavoro.
Sì. Perché se l’azienda non è gestita correttamente sotto ogni profilo del business management, non c’è alcuna base per ritenere che possa essere concretamente garantita la sicurezza dei lavoratori se non come formale adempimento di un onere burocratico.
Un esempio pratico del legame sicurezza/gestione: esito in caso di infortunio grave o mortale
Per rendere il più evidente possibile la misura del reciproco impatto tra sicurezza e gestione d’impresa – che peraltro mi propongo di esplorare ed approfondire in ulteriori contenuti successivi – proviamo ad analizzare insieme la situazione di peggiore fallimento della materia prevenzionistica: l’ipotesi in cui si verifica un infortunio grave o mortale.
E in tale scenario, ipotizziamo anche che vi sia un nesso di causa tra la lesione a carico del lavoratore ed una omissione prevenzionistica (qualsiasi) da parte del datore di lavoro.
La trattazione di questo argomento, in previsione della pletora di contestazioni plausibili, necessita di alcune premesse.
- Non è intenzione di chi scrive di trasmettere l’idea che chi commette un reato (per quanto possa essere colposo) non debba risponderne di fronte allo Stato, alle parti lese ed agli aventi diritto
- Non si desidera neppur lontanamente suggerire al lettore che si possa creare un ecosistema di gestione aziendale atto ad evitare le conseguenze di condotte delittuose
- La situazione descritta è un caso limite al quale NON si deve arrivare nel modo più assoluto, e tutte le competenze di gestione di cui stiamo parlando hanno proprio lo scopo di allontanarne la possibilità di accadimento a tutela dei lavoratori
Vi prego quindi di leggere senza preconcetti, seguire il ragionamento fino al termine per poi arrivare alle considerazioni finali. È chiaro che i destinatari principali di questo articolo siete voi addetti ai lavori, in grado di comprendere che si tratta di una iperbole – per quanto verosimile – atta a suggerire ai piccoli datori di lavoro una nuova visione, più ampia e completa, relativa alla sicurezza sul lavoro.
E non solo della sicurezza sul lavoro. Quello della “sicurezza” è un concetto ampio che non può essere limitato ai soli luoghi di lavoro, ma anche alla vita in generale. “Sentirsi al sicuro” è molto di più che tutelare la propria e l’altrui incolumità fisica. Come suggerisce l’art. 2087 del codice civile (che personalmente reputo di una completezza e di una attualità intramontabili), entra in gioco anche la “personalità morale” degli individui. Ecco, quindi, che ci sentiamo al sicuro non solo quando il nostro benessere fisico e psichico in senso stretto sono tutelati, ma anche quando abbiamo la percezione di poter raggiungere i nostri obiettivi professionali e personali; quando sentiamo di poter crescere e che nulla minacci ciò che ci è caro.
Tutto ciò perché la nostra vita non è costituita da compartimenti stagni tra loro.
Ed allora anche la visione dell’azienda non può essere più a compartimenti stagni, ma il frutto della consapevolezza che gestione d’impresa e sicurezza sono due temi che si compenetrano tra loro e la cui sinergia può – come detto – produrre, in primis, il consolidamento dell’azienda nel suo insieme e, come effetto, un miglioramento della sicurezza sul lavoro che si riverbera anche sulla vita di chi vi lavora.
Tale miglioramento può far sentire tutti più al sicuro, nel senso e nel modo più ampio possibile.
È l’equivalente di una relazione transitiva:
CORRETTA GESTIONE AZIENDALE = CORRETTA SICUREZZA AZIENDALE = MIGLIORAMENTO DELLA VITA PRIVATA
Ma, ecco il punto, accade anche l’opposto.
Ed è proprio di questa versione speculare della relazione transitiva (NON CORRETTA SICUREZZA AZIENDALE = NON CORRETTA GESTIONE AZIENDALE = PEGGIORAMENTO DELLA VITA PRIVATA) di cui desideriamo occuparci ora per il tramite dell’iperbole che si sta descrivendo.
Torniamo al nostro scenario di infortunio. Sappiamo bene cosa sta per accadere.
Il datore di lavoro viene rinviato a giudizio e, con tutta probabilità, condannato.
Chi è stato leso e/o gli aventi diritto si costituiscono parte civile ai fini del riconoscimento dei danni.
Non solo. In forza dell’art. 61 del D.Lgs 81/2008, anche l’INAIL può esercitare azione di regresso nei confronti del datore di lavoro.
Senza parlare della eventuale responsabilità amministrativa di cui al D.Lgs 231/2001 a carico della società stessa in quanto soggetto giuridico.
(Per avere un’idea pratica anche delle cifre di che trattasi, in questo video trovate la narrazione di un case history rappresentativo della situazione sopra descritta).
Ben inteso, l’argomento è articolato e complesso e ogni caso va esaminato alla luce delle singolarità del caso stesso.
Ma in generale, nell’ipotesi di colpa o di dolo, i titolari di ditte individuali e gli amministratori di società di capitali rispondono penalmente per i reati e civilmente per i danni verso terzi derivanti dai dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge. Oltre al danno determinato sull’azienda stessa e sul suo patrimonio.
In tali situazioni, aver agito preventivamente con strumenti di tutela del patrimonio aziendale (che è uno dei tipici strumenti della gestione d’impresa), o anche del patrimonio personale, può significare una notevole differenza sull’esito – se non altro finanziario – dell’infausta circostanza.
Peraltro, la tutela del patrimonio non è solo la protezione della ricchezza accumulata, ma anche la protezione della capacità reddituale che un individuo, una famiglia, un’azienda sarebbero idonei a produrre in un determinato periodo di tempo, a determinate condizioni. Tutelare il patrimonio significa quindi tutelare il lavoro, la salute, la vita e la ricchezza accumulata non solo in riferimento al datore di lavoro, ma anche di chiunque operi in azienda, a qualsiasi titolo.
Considerazioni finali
Cosa si intende dire quindi?
Si ribadisce riportando nuovamente, a scanso di equivoci, quanto sopra affermato. Ossia che:
- Non si sta affermando che chi commette un reato non debba risponderne di fronte allo Stato, alle parti lese ed agli aventi diritto
- Non si sta suggerendo di creare un ecosistema di gestione aziendale costituito da “teste di legno”, o altri metodi spiccioli facilmente contestabili, atto ad evitare le conseguenze di condotte delittuose
- Lo scenario descritto è un caso limite al quale NON si deve arrivare nel modo più assoluto
Tuttavia, il banale esempio sfruttato in questo articolo fornisce la massima e lampante evidenza di un fatto che altrimenti risulterebbe più astratto agli occhi di un datore di lavoro di una micro o piccola impresa: esiste un legame imprescindibile tra gestione di impresa e sicurezza sul lavoro.
Nel caso descritto, l’esito infausto di un infortunio non solo è causato, ma viene altresì amplificato in un contesto caratterizzato dall’assenza di elementi di un corretto business management.
Secondo lo stesso principio, si può stilare una sorta di corollario:
- la sicurezza non può funzionare in assenza di tutti gli elementi che caratterizzano un corretto business management
- un corretto business management ha effetti positivi sull’azienda e sulla ricchezza che è atta a produrre nel pieno rispetto di ogni norma e regolamento
- gli strumenti di gestione posti in essere o catalizzati a motivo della sicurezza sul lavoro possono produrre effetti positivi sul business management in generale
- un corretto business management ha effetti positivi sulla sicurezza dei lavoratori (nel più ampio senso possibile) e sulla loro vita professionale e privata
- un corretto business management ha effetti positivi sulla prevenzione da infortuni e malattie professionali, creando le condizioni per la migliore tutela di ogni individuo
- e – in subordine – dal momento che siamo in tema, un corretto business management ha effetti positivi anche sulla capacità dell’azienda di continuare ad operare nonostante le minacce che circolano intorno al patrimonio aziendale
In sintesi, non esiste sicurezza senza business.
Non esiste business senza sicurezza.
Ezio Granchelli
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