Infortunio. Cosa succede se un lavoratore dichiara il falso al pronto soccorso
(Cassazione Penale. Sentenza n. 2217 del 18/01/2019)
Sappiamo bene come funziona.
Soprattutto in alcune piccole realtà.
Un lavoratore ha un infortunio, sul lavoro ovviamente.
Si reca al pronto soccorso, autonomamente o accompagnato (forse proprio dal datore di lavoro).
Ora immagina la scena.
E’ un fatto realmente accaduto.
Il sanitario chiede: “Come ti sei fatto male?”
Il lavoratore lancia uno sguardo verso il suo titolare che lo ha accompagnato.
“Eh…come mi sono fatto male…ero a casa, mi stavo occupando di alcune faccende, e mi sono infortunato”.
E il titolare tira un sospiro di sollievo.
Fermiamo un attimo qui il racconto.
Vi suona familiare?
Stiamo parlando di un lavoratore che, a seguito di un infortunio occorso sul lavoro, dichiara il falso: ovvero di essersi procurato le lesioni in ambito domestico. A casa.
Questa cosa può accadere per tre motivi principali:
- In primo luogo perché il datore di lavoro glielo chiede espressamente, minacciando il licenziamento
- Oppure, In secondo luogo, perché l’eventualità di un licenziamento non viene palesata, ma in qualche modo implicitamente raffigurata, ventilata come eventuale necessità dovuta a difficoltà aziendali conseguenti, guarda caso, l’infortunio
- Infine, più raramente, potrebbe accadere che sia proprio il lavoratore – in virtù di un rapporto di familiarità vero – a prendere tale iniziativa per evitare di mettere nei guai il proprio datore di lavoro/amico.
In ogni caso potrebbe essere un serio problema per il datore di lavoro.
La giurisprudenza
Al riguardo, si è delineato un vero e proprio filone giurisprudenziale concernente le condotte estorsive in danno di operai dipendenti.
Sì. Estorsione, stiamo parlando proprio di questo.
Estorsione significa costringere qualcuno, mediante violenza o minaccia, a fare o ad omettere qualcosa, procurandosi un ingiusto profitto con il danno altrui.
L’estorsione è punita con la reclusione da 5 a 10 anni. Mica poco.
Riprendiamo però ora il racconto iniziale.
Il sospiro di sollievo dura poco.
Quel titolare viene indagato, rinviato a giudizio e condannato nei primi due gradi di giudizio, proprio per estorsione.
In titolare ricorre in Cassazione e dice, sostanzialmente:
- Io non ho minacciato nessuno, la dichiarazione del lavoratore è stata spontanea
- Per cui, seconda motivazione, dovrebbe essere il lavoratore sul banco degli imputati e non io. E le sue dichiarazioni dovrebbero essere inutilizzabili
- La figura incriminatrice non sarebbe comunque l’estorsione, perché non c’è dolo e non c’è minaccia. E in ogni caso la condotta del datore di lavoro sarebbe stata volta a trovare un’intesa con il lavoratore e fornirgli dei vantaggi, piuttosto che forzarne (o coartarne come dicono quelli bravi) la volontà.
Come finisce?
I giudici supremi sono categorici.
Confermano la condanna affermando che:
- Il datore di lavoro, presente al pronto soccorso, ha minacciato il lavoratore
- Anche se non lo avesse minacciato espressamente, l’estorsione può realizzarsi anche dove la minaccia è solo implicita.
Minaccia anche solo implicita…come puoi immaginare, tale conclusione è particolarmente significativa.
Per cui, che tu sia un datore di lavoro o un lavoratore, non dimenticare che dire il vero è sempre la scelta giusta.
E questa, sia chiaro, non è una minaccia.